Sabato, ore 8, ritrovo al Circolo Velico Casanova, carichi di bagagli e di entusiasmo ad armare Carbonera e Maestrale. Marco impreca perché manca sempre qualcosa sull'armo delle barche sociali… qualche grillo, qualche cima… Io pure impreco, ma alla fine ricorriamo alle nostre piccole scorte personali di accessori e le barche sono pronte e cariche. Ci beviamo un ultimo caffè dal Papi prima di partire.
Tra una cosa e l'altra sono quasi le 10. Variamo le barche concordandoci per un traino fino a dopo il bacino di San Marco - le miglia da fare sono tantissime - e come al solito ci leghiamo ad una bricola per issare e fare ordine, ma come issiamo la randa, si molla il nostro ormeggio e partiamo a razzo verso Venezia. A vela, senza traino!! Silvia al timone si rivela padrona della situazione. Una insolita e sostenuta bora ci consente un bordo unico con il quale ci infiliamo tra Murano e San Michele e continuiamo girando attorno a Venezia con una andatura molto allegra fino a quando quel traino siamo costretti a chiederlo a Maestrale, in bacino San Marco, per l'eccessivo moto ondoso da traffico. Qualche onda scavalca il nostro mascone e "rinfresca" le nostre magliette.
Tornate calme le acque, dopo circa un miglio, ci molliamo da Maestrale e puntiamo verso Poveglia, dove pensavamo di fermarci per il pranzo.
Ma la bora sostenuta ci fa andare come razzi, con le vele a farfalla arriviamo davanti a Poveglia che non è nemmeno mezzogiorno. Chi ce lo fa fare di fermarci con un vento così? Un breve consulto tra barche e decidiamo di proseguire senza fermarci. Cambio al timone, subentra Massimo. La bora aumenta ancora di qualche nodo, e con lei il nostro divertimento. Siamo al limite della presa di terzaroli, ma decidiamo di andare a vela piena. Impegnativo ma alla nostra portata, anche se ogni tanto arriva qualche strambata inaspettata. Arrivati davanti al canale dei petroli ci separiamo da Maestrale, forse per diverse interpretazioni della mappa. Delle due barche, noi siamo quella senza motore. Ci saremmo preoccupati se fossimo stati in bonaccia, ma il vento continuava ad essere frizzante, e le miglia correvano velocemente sotto la chiglia di Carbonera. Intercettiamo il canale allacciante, ed ecco scorgersi all'orizzonte la nostra meta misteriosa: il Casone Millecampi!! Non sapevamo se aspettarci un rudere o una costruzione bell'e fatta. Le pocchissime informazioni in rete erano contrastanti. Ma da distante sembrava in buone condizioni.
C'è alta marea, dal canale allacciante decidiamo di fare un taglione, abbandonandolo, e di puntare la prua verso la meta. Nel frattempo Maestrale confluisce verso di noi.
Massimo mi cede il timone perché vuole farmi fare l'arrivo, e sono solo le 14. Man mano che ci avviciniamo alla meta ci affasciniamo di quanto ci si para davanti, e allo stesso modo crescono i timori sulla possibilità di piantare una tenda per la notte.
Timori puntualmente confermati dallo scattare dell'allarme non appena mettiamo piede a terra.
Arriva Erika che, come è normale per chiunque vedendo degli estranei all'improvviso in casa propria, ci approccia sulla difensiva e ci fa mancare letteralmente la terra da sotto i piedi: "Qui non si può stare, è ancora un cantiere aperto, non si piantano tende, non possibile restare".
Siamo affranti, una delle più belle e veloci veleggiate mai fatte in laguna non poteva naufragare così.
Ma tant'è. Otteniamo di poter almeno pranzare sotto al portico del casone, per poi ripartire verso un'altra meta ancora più sconosciuta: ruderi del casone Barenon.
Terminato il pranzo, beviamo un caffè assieme ad Erika e a Giorgio, l'altro custode dell'isola: scopriamo che entrambi sono velisti: si dimostrano disponibili e prodighi di consigli sull'itinerario per il Barenon. Quasi dispiaciuti di non poterci ospitare, ma le regole della provincia di Padova - ente proprietario del casone - sono chiare…
Ci scambiamo qualche numero di telefono, rivelatosi poi prezioso perché poi ci informeranno in diretta che ci hanno osservati per tutta la navigazione fino al Barenon, temendo di doversi prestare per assisterci: si ritroveranno invece ad inviarci i complimenti per l'impresa.
Riprendiamo quindi possesso delle nostre due barche e issiamo prendendo una mano di terzaroli: il vento nel frattempo aveva ulteriormente rinforzato. Puntiamo al Barenon. Sto al timone per tutta la tratta. Ci arriviamo credo in un'ora con un paio di bordi lunghi. L'ormeggio è comodo e riparato, e di fianco ci sono un tavolone di legno e due panche, consumati dal sole. Per il resto l'isola è piuttosto inospitale, abbandonata a se stessa, con ruderi cadenti ed erbacce alte, non adatta a piantare le tende che con fiducia avevamo portato con noi.
Ma Oramai è pomeriggio inoltrato e non abbiamo altri approdi da poter raggiungere entro sera: decidiamo di fermarci lì.
Anche se è settembre inoltrato, il caldo bastona ancora, e l'acqua della laguna sud è incredibilmente limpida. Così uno dietro l'altro ci siamo buttati in acqua per un bagnetto rigenerante. Un po' perché ringalluzziti dalla magnifica veleggiata, un po' perché influenzati dal contesto "wild", uno dopo l'altro sono volati via i costumi e ci siamo divertiti a prenderci in giro in versione "nature".
Riemersi e ricomposti, così rinfrescati abbiamo poi assistito ad un tramonto che si ripete tutti i giorni ma che non è mai uguale a se stesso.
Nel frattempo ci siamo asciugati e con il calar della sera abbiamo preparato la cena con una spaghettata piccante cucinata al momento con il fornelletto da campeggio di Massimo, consumata con i viveri da frigo ancora rimasti, che non sarebbero arrivati al giorno dopo.
Eravamo felici in mezzo al nulla. Una bella sensazione di libertà. Ad un certo punto abbiamo anche spento le piccole torce elettriche per goderci un cielo insolitamente stellato nonostante la luna non ancora piena.
Abbiamo preparato le barche per creare lo spazio per dormire, scendendo a compromessi con i bagagli: tutti i viveri chiusi dentro al gavone del Maestrale - per evitare assalti poco graditi - il resto sbarcato. Ci siamo distribuiti quindi per dormire due in pozzetto di Maestrale e quattro sul Carbonera - due in pozzetto, due in gavone. Mi aspettavo una notte insonne, invece le temperature ancora miti ci hanno regalato comunque un sonno decente.
L'indomani mi sveglio tra i primi e mi siedo sulle tuga di Maestrale godermi l'alba. A casa mia non ci riesco mai, così ne approfitto lì.
Un po' alla volta si svegliano tutti, facciamo colazione e ci raggiunge il buongiorno di Erika e Giorgio - incredibilmente il telefono prende benissimo - che chiedono conto di come stiamo, un po' preoccupati ma poi rincuorati.
Carichiamo e redistribuiamo i nostri bagagli in barca, avendo cura di lasciare tutto come l'abbiamo trovato, e ci dirigiamo verso casa. Silvia prende il timone. Per non fare lo stesso tragitto dell'andata, decidiamo di risalire i canali per raggiungere il casone di Valle Zappa. Il vento non è così sostenuto come il giorno prima, la corrente ci è contro, ma ciononostante procediamo. Il casone è comunque abbastanza vicino, e riusciamo a raggiungerlo a vela attorno alle undici. Lì, dopo una breve passeggiata attorno al bellissimo casone, facciamo la pausa pranzo in banchina, sotto l'ombra dei melograni in fiore.
Ripartiamo. Massimo al timone. Il vento è sempre poco e non conosciamo i canali, ma riusciamo a destreggiarci senza errori di rotta - e scopriremo sempre sotto la supervisione di Erika e Giorgio - arrivando a vela fino al canale dei Petroli. Poco prima prendo il posto di Massimo al timone ma il vento comincia davvero a scarseggiare. Alle 14 circa ci troviamo piantati nel bel mezzo del canale in piena bonaccia. Nostro malgrado ricorriamo a Salvatore, il motore, che da solo porta tutte e due le barche dal canale dei Petroli fino alla base a San Giuliano, girando attorno a Venezia.
Aliamo, disarmiamo, puliamo. Ci facciamo la birra di debriefing dal Papi.
Stanchi mentalmente e fisicamente, ma contenti e soddisfatti.
NIcola, Massimo, MAssimo, MArco, Valeria, Silvia